Baldassarre GALUPPI, IL MONDO DELLA LUNA
(revisione e interpretazione strumentale. FRANCO PIVA
A) Il libretto goldoniano
Eclittico, finto astrologo, commenta divertito e compiaciuto con quattro scolari la sua abilità nell’imbrogliare quei che poco sanno per natura.
Entra il credulone Buonafede e nasce un vivace e colorito dialogo sui misteri della luna e dell’universo e sui miracoli di un grande cannocchiale, con il quale Eclittico dice di vedere sulla luna perfino spogliar le donne quando vanno a letto.
Buonafede si è convinto (quando Eclittico accosta alla cima del cannocchiale una macchina illuminata dentro la quale si muovono alcune figure, egli crede che quelle gustose scenette si svolgano sulla luna) ed Eclittico, innamorato di Clarice, spiega agli amici Ernesto, innamorato di Flaminia, e Cecco, innamorato di Lisetta, cone riuscirà a burlare Buonafede e a ottenere il sospirato consenso per i tre matrimoni.
Dopo la presentazione della dolce e remissiva Flaminia, della nervosa e ribelle Clarice e della vivace Lisetta, invano corteggiata dal maturo Buonafede, viene messa in atto la burla: Eclittico fa credere a Buonafede di essere stato chiamato sulla luna; Buonafede vuole a tutti i costi seguirlo: beve un sonnifero e crede di volare…
Quando si risveglia, le ‘stravaganze’ inventate da Eclittico gli fanno credere di trovarsi in un altro mondo; Cecco, con Ernesto, avanza sopra un carro trionfale e Lisetta diventa imperatrice del mondo lunare. L’abilità di Eclittico e le illusioni dell’ambiente (tutti approfittano per sottolineare le contraddizioni del mondo terrestre tutte felicemente risolte sulla luna) convincono Buonafede a benedire i matrimoni.
Il 1750 è per Goldoni un anno fecondissimo, quasi frenetico: sono, infatti, ben cinque i libretti composti (Il mondo della luna, Arcifanfano re de’ matti, Il mondo alla roversa, Il paese della cuccagna, La mascherata) e nascono le commedie, nelle quali si viene precisando il suo programma poetico proteso verso il realismo delle vicende e dei caratteri: anche i libretti per musica risentono evidentemente di questa nuova impostazione, per cui si può senz’altro parlare di una sostanziale riforma goldoniana, realizzata naturalmente in modo più leggero, anche per i libretti.
Scrive Giorgio Pestelli: “Il nome di Carlo Goldoni è un nodo importante del fenomeno di maturazione dell’opera buffa…: egli dà un impulso decisivo alla umanizzazione dell’opera buffa oltre gli stereotipi modelli dell’intermezzo. Certo, equivoci e travestimenti sono pur sempre alla base convenuta della struttura drammatica, e nei libretti i caratteri dei personaggi non potranno avere la profondità di realizzazione delle grandi commedie teatrali; ma se attorno ai gracili tronchi della farsa e dell’intermezzo la vicenda si amplia in un respiro di commedia musicale è perché sempre più entrano nei suoi libretti le idee del tempo: la Natura madre e guida; le varie mode del patriziato e della borghesia di Venezia, il gusto dell’esotico…; una certa malizia in tutta la sfera erotica; una presenza nuova delle arti e dei mestieri; un interesse per la campagna da lavorare…
E Piero Santi precisa: … Questi primi melodrammi, che Goldoni si vantava di tirar giù in non più di quattro giorni e ai quali non annetteva nessuna importanza letteraria…ottemperavano tuttora alla funzione cui lo spettacolo musicale era tradizionalmente addetto nei teatri veneziani, della festa più o meno carnevalesca…Così il mondo della luna non è che il mondo della terra, vale a dire della società veneziana, contemplata nella sua totalità morale dalla lontananza di una metafora spettacolare…Siamo di fronte a un gioco allo stato puro.
B) La partitura
La partitura contiene:
- l’Ouverture (Allegro, Andante, Allegro)
- 2 Cori: Coro di Scolari, Atto I; Finale
- 3 Cavatine: Ho veduto una ragazza, Ho veduto un buon marito, ho veduto dall’amante (Buonafede, Atto I, Scena III)
- 5 Arie senza Da capo: La ragazza col vecchione (Buonafede, Atto I, Scena V)
Un avaro suda e pena (Cecco, Atto II, Scena V), Che mondo amabile (Buonafede, Atto II, Scena VII), Quanta gente (Clarice, Atto II, scena XII), Qua la mano (Buonafede, Atto III, Scena ultima)
- 12 Arie con Da capo: Un poco di danaro (Eclittico, Atto I, Scena IV), Se amor
provasti mai (Ernesto, Atto I, Scena V), Mi fanno ridere (Cecco, Atto I, Scena VI), Affetti non turbate (Flaminia, Atto I, Scena VII), Son fanciulla (Clarice, Atto I, Scena VIII), Una donna come me (Lisetta, Atto I, Scena IX), Voi lo sapete (Eclittico, Atto II, Scena III), A quelle luci amate (Ernesto, Atto II, Scena VI), Se lo comanda (Lisetta, Atto II, Scena X), Se la mia stella (Flaminia, Atto II, Scena XI), Un parigin che serva (Clarice, Atto III, Scena II), Quando si trovano (Lisetta, Atto III, Scena IV)
- 4 Piccole Sinfonie: Atto II, Scena II (2), Scena IV, Scena X
- 3 Duetti: Non aver di me sospetto (Buonafede-Lisetta, Atto II, Scena IX), Cara ti stringo al seno (Ernesto-Flaminia, Atto III, Scena ultima), Sposina mia cara (Eclittico-Clarice, Atto III, Scena ultima)
- 2 Quartetti: Finale Atto I, Finale Atto II
Il mondo della luna di Galuppi è il primo in ordine di tempo: quelli di Paisiello e di Haydn nascono, rispettivamente, 24 e 27 anni dopo: questa precedenza da un lato determina automaticamente i limiti della consistenza della partitura galuppiana, comunque del tutto adeguata e perfettamente equilibrata in ogni direzione, dall’altro favorisce la piena rispondenza del discorso musicale con lo spirito goldoniano. E, infatti, è nata sul testo appena composto, in un rapporto diretto di collaborazione e di intesa con l’autore; e questo è un indubbio vantaggio, perché ha consentito a Galuppi di entrare immediatamente dentro i personaggi e le situazioni senza alcuna intermediazione e quindi senza alcun condizionamento interno o esterno. Naturalmente è l’inizio di un nuovo discorso e quindi alla freschezza delle intuizioni corrisponde l’essenzialità dei mezzi e della loro articolazione.
D’altra parte, al ‘realismo’ goldoniano Galuppi risponde sempre con una puntuale ed efficace caratterizzazione di ogni singolo personaggio e dei diversi atteggiamenti di ciascuno, sottolineando di volta in volta l’aspetto ironico e quello sentimentale, con una eccezionale varietà di invenzioni e con un equilibrio complessivo che coinvolge intrinsecamente tutti i rapporti musicali e quelli rappresentativi.
Vengono efficacemente delineati, in altre parole, con la dilatazione e l’intensificazione richieste dalle esigenze e dai ritmi della dimensione rappresentativa, i diversi aspetti dello stile ‘galante’, con il quale lo stile giocoso ha un legame diretto e sostanziale: la levità e l’eleganza, la contenuta ma intensa varietà, il delicato equilibrio fra diversi approfondimenti, l’efficacia e la piacevolezza dell’invenzione, le controllate ma sensibili oscillazioni fra gli atteggiamenti gioiosi, giocosi, sentimentali e meditativi.
La prima constatazione, insomma, è che tutta la musica del Buranello è di una originalità assoluta (come dice il Burney, Molti passi di Galuppi vennero certamente resi comuni…ma allora eran nuovi); la seconda riguarda la evidente caratterizzazione di queste invenzioni: ne Il mondo della luna ci sono 32 brani e non ce n’è uno, come ne Il mondo alla roversa, che assomigli a un altro, se non per la necessità, e questo è il segno di una coerenza cosciente, di fissare tipologie espressive che mantengano la fisionomia drammaturgica di ogni singolo personaggio anche nel mutare delle situazioni. La terza constatazione riguarda il rapporto fra testo e musica: si direbbe che la leggerezza e talvolta la superficialità del libretto goldoniano siano largamente compensate dalla incisività delle intuizioni galuppiane.
C) La revisione e l’interpretazione strumentale
Sono molte le copie di quest’Opera, ognuna adattata alle circostanze e alle disponibilità e quindi tutte con differenze più o meno rilevanti rispetto al libretto.
Per ricostruire la partitura, non avendo avuto la possibilità di reperire l’autografo, ammesso che esista, mi sono basato principalmente sulla copia manoscritta custodita presso la Biblioteca Nazionale di Parigi, che ho constatato essere la più completa e fedele rispetto al libretto goldoniano, nonostante alcune omissioni (volute dal Buranello?) e alcune sostituzioni (certamente richieste dalle circostanze).
Nel manoscritto citato mancano, rispetto al libretto: 1) dialogo fra gli Scolari e Buonafede (Atto I, Scena III); 2) dialogo fra quattro Cavalieri ed Eclittico-Buonafede (Atto II, Scena III); 3) interventi di Eclittico-Buonafede-Lisetta prima del Coro finale.
Sono diverse, poi, le Arie di Ernesto (Atto I, Scena V; Atto II, Scena VI) e di Flaminia (Atto I, Scena VII; Atto III, Scena III).
L’organico strumentale, nel manoscritto indicato (i Recitativi sono tutti secchi) prevede gli archi, 2 oboi e 2 corni.
Nella mia ‘interpretazione strumentale’, in ogni caso pienamente conforme sotto tutti gli aspetti alla prassi dell’epoca e totalmente rispettosa di tutte le indicazioni del manoscritto: A) ho aggiunto due flauti e un fagotto; B) ho raddoppiato alcuni frammenti particolarmente significativi; C) ho sostituito in alcuni casi il violoncello con il fagotto e i violini con uno o due oboi; D) ho alternato i ‘Soli’ con i ‘Tutti’.
Una adeguata interpretazione strumentale, per un’Opera come questa, era secondo me sostanzialmente obbligatoria: per evidenziare al massimo possibile le singole situazioni; per sottolineare le differenziazioni espressive inequivocabilmente volute dal Buranello; per far emergere in modo appropriato le singole caratterizzazioni attraverso un utilizzo finalizzato delle risorse timbriche disponibili entro i limiti della prassi dell’epoca; per creare diversi piani sonori e per determinare quindi una varietà di situazioni che esaltasse il realismo e la vivacità degli avvenimenti rappresentati; per valorizzare con una colorazione adeguata la successione delle immagini anche in rapporto alle indicazioni dinamiche originali.
Non c’è dubbio che un organico di soli archi, con qualche rado intervento di rinforzo degli oboi e dei corni, per tutti i 32 brani dell’Opera avrebbe favorito un sostanziale appiattimento dal punto di vista espressivo e rappresentativo (non dobbiamo dimenticare che questa è musica composta per il teatro!) delle straordinarie invenzioni del Buranello su una tavolozza praticamente monocromatica e quindi ‘monotona’; non c’è dubbio, poi, che le indicazioni degli organici strumentali in Opere di grande consumo, come questa (fra l’altro, destinata in origine al carnevale), costituivano o potevano costituire una sorta di ‘canovaccio obbligato’ suscettibile, in quanto appunto ‘canovaccio’, di integrazioni e ‘adattamenti’. D’altra parte, la mia interpretazione strumentale è un atto che si aggiunge e non si sostituisce alla revisione vera e propria e che con essa si integra; in altre parole: rispettando rigorosamente e rispettosamente la sostanza, ho scelto, e la scelta mi è stata suggerita dalla natura stessa di questa partitura, di ripetere oggi, comunque con finalità non pratiche ma squisitamente musicali e teatrali, la stessa operazione che nel Settecento si faceva con tutta naturalezza quasi ad ogni rappresentazione.
Fra le molte repliche, di particolare importanza è quella di Esterhazy (1777) sicuramente ascoltata da F. J. Haydn: il suo Mondo della luna, con non poche assonanze galuppiane, sviluppa taluni stimoli e ingrandisce alcune invenzioni del Buranello fino a toccare altre dimensioni, sostituendo la vivace lievità della partitura veneziana con una elaborata e splendida staticità quasi oratoriale e talvolta asettica rispetto allo spirito del libretto (non si può, a questo proposito, non ricordare che Haydn riutilizzò sei brani di quest’Opera nei Trii per flauto, violino e violoncello e che un’Aria di Ernesto diventa addirittura il Benedictus della ‘Messa di Mariazell’; l’Ouverture, poi, fu ristrumentata come primo Movimento della Sinfonia n. 63).