I FRAMMENTI DELL’ ERNANI di VINCENZO BELLINI
“L’Hernani mi piace assai, e piace parimenti alla Pasta ed a Romani, ed a quanti l’hanno letto: nei primi di settembre mi metto al lavoro.”
Con queste parole scritte nella lettera del 15 luglio 1830, Bellini informa l’editore Guglielmo Cottrau di avere già scelto il soggetto della nuova opera che dovrà comporre per il Teatro Carcano di Milano.
Nel giugno dello stesso anno, il ventinovenne compositore (dopo essere guarito dalla tremenda “febbre infiamatoria gastrica biliosa”, manifestatasi il 21 del mese precedente) sceglie di passare la convalescenza sul lago di Como nella villa Passalacqua, ospite delle famiglie Cantù e Turina che avevano preso in affitto quella principesca dimora.
Durante quella felice estate, Bellini si sarebbe spesso recato anche a Blevio, dove l’eletta cantatrice Giuditta Pasta, nella sua lussuosa villa ‘La Roda’, radunava la migliore società milanese che ivi villeggiava: un cenacolo esclusivo animato da artisti, musicisti e letterati, tra i quali non poteva mancare il poeta genovese Felice Romani, il maggiore librettista dell’epoca, legato ormai al compositore da un duraturo e proficuo sodalizio che aveva già prodotto Il pirata (1827), La straniera e Zaira (1829), I Capuleti e i Montecchi (1830), e che produrrà ancora La sonnambula e Norma (1831) e Beatrice di Tenda (1833).
In questo clima di vacanza, di mondanità, ma anche di stimolante riflessione, Bellini con Romani e la Pasta (che ne doveva essere l’interprete) si dedica in bella intesa al progetto del futuro melodramma.
L’attenzione cade sul dramma in cinque atti Hernani ou l’honneur castillan (Ernani ovvero l’onore castigliano), che a Parigi – sin dalla prima turbolenta rappresentazione alla Comédie-Francaise, avvenuta giovedì 25 febbraio 1830 – aveva acceso enormi polemiche, deflagrate con violenza dal momento in cui nei versi alessandrini di Victor Hugo trasparente era l’atto d’accusa del Romanticismo nascente contro l’ancien régime. Una denuncia palese avverso ‘classicisti’ e ‘monarchici’ è invero la vicenda noir dell’eroe giovane e maledetto, costretto a lottare contro gli aristocratici viellards.
Ancora più esplicita è la provocatoria prefazione al testo, vero e proprio manifesto letterario dell’opposizione liberale. Nel sancire anzi un sacrosanto quanto ineludibile nesso tra arte e politica, l’autore afferma senza mezzi termini: la liberté littéraire est fille de la liberté politique. Hernani scatena così un vero e proprio putiferio, una tempestosa querelle tra l’opposizione classica e la gioventù romantica degli atelier, laddove le questioni estetiche si fondevano strettissimamente con quelle civili, sociali e politiche.
I disordini di piazza originati dalla pièce sono perciò il diretto e non casuale antecedente di quanto doveva accadere il 27 luglio, quando lungo le vie della capitale francese, per tre giorni e tre notti, si sollevano tumulti popolari che costringono il reazionario Carlo X ad abdicare in favore del moderato Luigi Filippo d’Orléans.
Insieme al furore della ‘Rivoluzione di Luglio’, l’eco della bataille di Hernani da Parigi dilaga in tutta Europa: ne restano affascinati anche Bellini e l’ambiente artistico e culturale in cui egli opera.
Nella prima decade di settembre, il compositore rientra definitivamente a Milano.
Da una lettera inviata all’amico torinese Augusto Lamperi, sappiamo che fino al 17 novembre il progetto di mettere in musica il dramma hughiano è ancora ben fermo, tanto è vero che Bellini lamenta di non aver ancora ricevuto i versi da Romani, ma il ‘suo’ poeta è impegnato anche nella stesura del libretto di Anna Bolena per Donizetti.
Purtroppo, allo stato attuale delle nostre conoscenze, la corrispondenza belliniana da quest’ultima lettera s’interrompe fino a quella fatidica del 3 gennaio 1831, in cui apprendiamo dallo stesso musicista il cambiamento di rotta da Ernani alla Sonnambula, della quale afferma di aver ‘principiato’ l’introduzione il giorno precedente.
L’incolmabile vuoto epistolare è fonte di reale difficoltà, in quanto non ci permette di ricostruire con esattezza sia la gestazione di Ernani, sia la causa che determinò il cambiamento del soggetto.
In mancanza di altre fonti è giocoforza rifarsi alla citata testimonianza dello stesso Bellini, il quale, a cosa fatta, scrive il 3 gennaio a Giovanni Battista Perucchini: “…Sapete che non scrivo più l’Ernani perché il soggetto doveva soffrire qualche modificazione per via della polizia, e quindi Romani per non compromettersi l’ha abbandonato, ed ora scrivo la Sonnambula ossia I due fidanzati svizzeri”.
Evidentemente la censura austriaca, trattandosi di un soggetto così turbolento, avrà posto o ventilato il veto al librettista (14 anni dopo, anche Verdi e Piave dovettero faticare non poco affinché la loro versione operistica del dramma francese potesse andare in scena alla Fenice di Venezia il 9 marzo 1844).
Dei superstiti abbozzi pervenutici (alcuni infatti sono andati dispersi), solo una parte risulta completa; molti sono redatti unicamente nella linea del canto, mentre qua e là si rinvengono soltanto schizzi strumentali.
Una dettagliata analisi di questi frammenti è descritta, con dovizia di particolari, dal maestro Franco Piva che ha curato fedelmente e intelligentemente la non facile realizzazione del lavoro di ricostruzione.
Domenico De Meo
I FRAMMENTI – I Frammenti dell’Ernani di Vincenzo Bellini, custoditi presso il Museo belliniano di Catania, constano di complessive 74 grandi pagine pentagrammate: la 40, la 68 e la 74 sono completamente vuote; la 69 e la 70 contengono indicazioni verbali e musicali delle quali risulta praticamente impossibile stabilire la provenienza, la collocazione e la destinazione; la pagina 14 contiene soltanto l’accordo conclusivo del crescendo delle ultime due battute di pag. 13; la pagina 34 presenta l’inizio (6 battute e un quarto, oltre la prima vuota) della parte dei soprani di un brano corale; la pagina 44, a parte la prima e l’ultima battuta, è tutta tagliata.
Le prime tre battute della pagina 1, secondo la numerazione attribuita, sono la conclusione di un brano o di un appunto precedente evidentemente perduto. Il primo frammento, per noi, inizia quindi alla quarta battuta della stessa pagina, dopo la doppia linea che chiude l’episodio non pervenuto.
L’organico e la disposizione degli strumenti, che rimangono sempre gli stessi quando l’orchestra è completa, si desumono dalle indicazioni successive; nell’ordine, dall’alto in basso: violini primi, violini secondi, viole, flauti (due righi), oboi (un rigo), clarinetti in Si b (un rigo), corni (due righi), trombe (un rigo), tromboni (due righi), fagotti (un rigo), timpani, voci, violoncelli, contrabbassi.
Si tratta di un Recitativo Obbligato, che precede il Duetto Ernani/Elvira (Frammento secondo). Le voci sono tre; in ordine di partitura: Ines (mezzosoprano), Elvira (soprano), Ernani (soprano).
La partitura del secondo Frammento non presenta particolari problemi di lettura: le due voci (Elvira, Ernani) e tutti gli strumenti, nell’ordine precisato precedentemente, sono indicati in modo inequivocabile. Alla pagina 10, attraverso i righi dell’orchestra, è scritto: “Lo strum.le come alle lettere a-d” (?). Nella prima parte del Frammento, però, non appare alcuna lettera: questo fatto, comunque, non crea problemi, dal momento che tutta la ‘risposta’ di Elvira è completamente ‘positiva’ e cioè identica alla ‘proposta’ di Ernani: la ricostruzione, quindi, delle parti strumentali diventa automatica.
Il terzo Frammento segue direttamente il secondo senza, sembra, alcuna soluzione di continuità. Alla pagina 25 è abbozzata (3 battute) una prima versione, tagliata, dell’episodio seguente con le parole “Chi sei tu? Che fai? Che…” e con l’inciso, poi sviluppato nell’ultima battuta della stessa pagina, affidato soltanto ai fagotti. Alla pagina 32 la Cadenza di Ernani termina su un nuovo Movimento (Più allegro), di cui, però, rimangono soltanto le prime due battute; alla pagina 33, infatti, comincia un breve episodio in Si b Maggiore (Recitativo), con i soli archi (quarto Frammento), che sembra non concluso ma che, d’altra parte, non si collega né alla pagina 34, dove appare, come abbiamo detto, l’inizio di un brano corale, né alla pagina successiva, dove il nuovo (?) brano è in Do Maggiore (quinto Frammento). Poiché fra il quarto e il quinto Frammento esiste una chiara affinità di carattere espressivo, è possibile formulare l’ipotesi, avvalorata anche dal fatto che all’inizio del quarto sono indicati gli stessi due personaggi che sono protagonisti del quinto, che il quarto sia un primo tentativo (non cancellato perché ritenuto comunque soddisfacente e forse mantenuto come una possibile riserva da utilizzare altrove) poi ripreso su basi diverse e portato a compimento nel quinto.
E’ abbastanza difficile anche soltanto descrivere il sesto Frammento: è il più lontano dal progetto iniziale e precede di poco la rinuncia. A parte la brevissima introduzione strumentale e qualche rado appunto successivo, sono rimaste soltanto le parti vocali. Senza contare le pagine vuote e le due ‘spurie’, consta di ben 33 fogli e il loro coordinamento, con un minimo di logica musicale complessiva, è risultato piuttosto complesso e delicato.
Il settimo Frammento (Allegro risoluto) prevede l’intera orchestra e i personaggi di Ines e Don Carlo: rimangono soltanto l’intervento dei contrabbassi e due piccoli incisi del flauto e dei violini primi. Nonostante questo vuoto, non si può non sottolineare il particolare interesse di questo breve appunto: se è da considerarsi normale la modulazione nei contrabbassi da Do Maggiore a La bemolle Maggiore, risultano abbastanza ‘strane’, essendo così isolate e scoperte, le note assegnate al flauto e ai violini primi e, in particolare, assumono dal punto di vista espressivo un colore e un sapore relativamente inusuali soprattutto se messe in relazione con le situazioni precedenti.
Dopo questo Allegro risoluto, Bellini prevedeva un Lento assai; ma a questo punto, evidentemente, l’interesse per questo soggetto è venuto meno definitivamente.
LA REVISIONE E L’INTERPRETAZIONE – Va innanzitutto precisato il fatto che, nonostante la situazione del manoscritto nella sua globalità e nei singoli frammenti potesse facilmente prestarsi a interventi di vario tipo, ho ritenuto imprescindibile rispettare integralmente il testo, in ogni suo dettaglio, per poterlo presentare e valorizzare nella sua interezza come un documento raro e preziosissimo. Proprio questo principio, tuttavia, mi ha creato in non pochi casi problemi abbastanza delicati e le soluzioni che non potevo non adottare hanno comportato e comportano specifiche responsabilità. Non si trattava, infatti, soltanto di ‘trascrivere’ correttamente, con rigorosi criteri filologici, un inedito: il compito era, in particolare, anche quello di far rivivere un manoscritto del tutto diverso da un ‘normale’ documento, trattandosi in questo caso niente di più di una serie di frammenti di un lavoro soltanto progettato, e anche parzialmente. E’ noto quanta responsabilità si deve assumere il revisore, dovendo rivisitare e restaurare un documento in vista della sua esecuzione o rappresentazione, quando si tratta di definire e interpretare situazioni incerte o incomplete o confuse; ma se il documento è completo, esiste nel documento stesso una logica complessiva, poetico-musicale-drammaturgica, che sicuramente può creare condizioni favorevoli per risolvere problemi altrimenti non facilmente definibili. Ma in questo caso il documento non ha alcuna compiutezza da nessun punto di vista e viene meno, quindi, anche quello che talvolta può diventare un punto di riferimento fondamentale.
Nel Recitativo che precede il Duetto (pp. 1-6) manca l’indicazione del Tempo (ma, data la relativa concitazione della situazione, è sembrato ovvio prevedere un Allegro) e mancano spesso le indicazioni dinamiche negli accordi che commentano il testo: l’attribuzione di un p o di un f all’uno o all’altro degli interventi strumentali ha costituito qualche volta un problema sia perché l’incompletezza del testo non consentiva con sufficiente sicurezza l’una o l’altra interpretazione, sia per il fatto che, in qualche caso, l’una e l’altra avrebbero avuto una valida giustificazione.
In questo primo frammento si è presentato anche un altro problema delicato: alla terza battuta di p. 4 Bellini ha scritto Lento assai; fino alla fine del Frammento, e cioè per 34 pagine, non viene indicata nessuna variazione di Tempo; trattandosi, però, di un Recitativo e dal momento che il testo nel corso di queste 34 battute presenta situazioni molto differenziate, non è pensabile che possa rimanere valida fino alla fine questa indicazione. Per definire le inevitabili variazioni di Tempo l’unico riferimento possibile non poteva che essere il testo.
Il secondo Frammento (Duetto Elvira-Ernani) non porta alcuna indicazione di Tempo; la decisione di stabilire un Largo è nata da alcune considerazioni concomitanti e complementari: il Tempo in 6/8, il Più mosso della seconda parte (p. e il carattere espressivo dell’intero brano; il Più mosso, poi, (in una situazione espressiva come questa non può diventare ‘Allegro’), inteso come una relativa intensificazione della velocità del Tempo iniziale, determina inevitabilmente un precedente Tempo lento come riferimento.
Nell’ Allegro maestoso del terzo Frammento (b. 27, p. 26) non compare all’inizio alcuna indicazione dinamica; ma il pizzicato dei violoncelli e dei contrabbassi e, nel corso del brano, le indicazioni Solo (p. 29: bb. 44, 45, 49) e pp (b.35, p. 27; b. 39, p. 28), rendono obbligatoria per l’inizio la scelta di un colore tenue, anche se l’aggettivo maestoso potrebbe far sembrare coerente un colore più forte (ma credo si tratterebbe in questo caso di una interpretazione superficiale e retorica).
Come si è detto, è probabile che il quarto Frammento (Recitativo / Andante), di complessive 13 battute soltanto, sia un primo appunto non completo, ripreso, in modo non sostanzialmente diverso, sviluppato e completato nel Frammento successivo in un’altra tonalità, sempre comunque con lo stesso organico (2 voci, archi). Ho ritenuto in ogni caso riportare anche queste tredici battute perché, anche se fosse giusta la mia ipotesi, risulta comunque interessante mettere a confronto le due situazioni.
Il quinto Frammento è completo e chiaro; manca all’inizio l’indicazione del tempo, ma, coerentemente con l’ipotesi formulata in precedenza, ho posto Andante.
Le legature segnate qui e in altre pagine del manoscritto sono da intendere non tanto come arcate, ma come manifestazione di una intenzione espressiva che riguarda tutte le frasi coinvolte. La precisazione delle articolazioni costituisce, quindi, un problema assai delicato: nella attribuzione delle arcate ho tenuto conto esclusivamente dei comportamenti del discorso musicale e della loro funzione espressiva.
Su ciascuno degli accordi che accompagnano questo Recitativo, Bellini ha posto con chiarezza l’indicazione dinamica voluta; indicazione che, invece, manca negli episodi strumentali.
La conclusione di questo Frammento rimane sospesa: è da escludere, per motivi armonici e anche per il fatto che il testo non conclude, un collegamento diretto con l’inizio del Frammento sesto: ho preferito comunque lasciare le cose come si presentano nel manoscritto, e cioè senza soluzione sia dal punto di vista musicale che dal punto di vista letterario.
Il sesto Frammento è il più problematico. Nell’impostazione della partitura sono indicati, oltre a tutti gli strumenti, Elvira, Ernani, Carlo; nelle pagine pervenute cantano soltanto Elvira e Carlo. Dalla pagina 37 alla pagina 39 Don Carlo esegue il primo Meco regna; segue una cadenza, affidata ai violini primi; riprende poi (pp. 42-44) una nuova versione del Meco regna, con varianti, come se fosse un Da capo oppure una seconda possibilità alternativa alla prima. Dopo una cadenza di Don Carlo e un breve intervento strumentale (l’una e l’altro tagliati), risponde Elvira con il primo Amo un altro, a cui segue l’inizio del concitato dialogo, poi interrotto, fra Elvira e Don Carlo. Alla pagina seguente si trova una cadenza simile a quella apparsa dopo il primo Meco regna, ma più corta e semplificata; dopo questa cadenza ritorna il Meco regna di Don Carlo in una versione, con varianti, quasi identica alla precedente; risponde di nuovo Elvira con un nuovo Amo un altro, con varianti rispetto al primo e con una cadenza conclusiva diversa; riprende, quindi, il dialogo concitato (Allegro agitato), che si conclude (Lento) con le due voci insieme.
Il primo problema nasce da questo dubbio: le due versioni di Meco regna e di Amo un altro sono alternative o complementari? Poiché non c’è alcun elemento oggettivo a favore dell’una o dell’altra possibilità, qualunque considerazione potrebbe essere sostenibile: ma quella che potrebbe eventualmente dimostrare l’alternatività comporterebbe automaticamente l’abbandono di una parte comunque importante del documento. Credo, dunque, che l’unica scelta oggettivamente valida sia stata quella di riportare il manoscritto nella sua interezza. In altri casi Bellini ha mostrato chiaramente il cambiamento dell’intenzione oppure ha lasciato il frammento incompiuto: qui non appare nessun pentimento, a meno che non si voglia intendere la ripetizione come un secondo tentativo destinato a sostituire il primo: ma in questo senso, ripeto, non appare alcuna indicazione. All’inizio di questo sesto Frammento non c’è alcuna indicazione di Tempo, ma sopra la seconda cadenza che precede la seconda versione del Meco regna è segnato And.te assai sost.to; poiché la seconda non è che una variante della prima, così come le due versioni di Elvira sono varianti di quelle di Don Carlo, non essendoci d’altra parte indicazioni diverse fino all’Allegro agitato, ho ritenuto giustificato attribuire all’intera prima parte l’Andante assai sostenuto indicato da Bellini.
Dopo l’Ouverture – nell’insieme molto compassata, un po’ rossiniana e abbastanza generica (sicuramente scritta prima dei Frammenti e quindi solo parzialmente aderente, anche per l’assenza di una visione completa dell’Opera) – si compie un viaggio, breve ma affascinante e intenso, in un mondo virtuale, sospeso nel vuoto, nel quale si leggono i ‘segni’ di un’idea drammaturgica e musicale che riflette senza mediazioni gli impulsi suggeriti dal testo. Se la pregnanza di questi ‘segni’ ci fa rimpiangere quello che manca, non possiamo non vibrare di commossa partecipazione per quello che ci resta.
Franco Piva