La produzione del Buranello nella musica sacra è certamente la meno studiata; io stesso, dovendo a suo tempo operare per forza di cose delle scelte di fronte all’enorme quantità di opere da rivisitare, ho deliberatamente lasciato da parte questo settore, pur così ricco e importante, con le sole eccezioni dell’Oratorio ‘Adamo’ e del “Dialogus sacer” ‘Jephte et Helcana’. Questo non significa, comunque, che non mi sia preoccupato di dare uno sguardo, almeno essenziale, ad alcune composizioni sacre e liturgiche (mi riferisco soprattutto al ricco fondo custodito presso la Biblioteca del Conservatorio “Paganini” di Genova), se non altro per rendermi conto, sempre in modo relativo sia per l’impossibilità materiale di prendere in esame tutto il materiale sia per il mio preminente interesse orientato verso altri settori, del modus operandi di Galuppi in questo particolare genere, anche in relazione ai comportamenti stilistici nella sua produzione profana.
A seguito di questo rapido excursus, ritengo di poter esporre le seguenti considerazioni, tutte in ogni caso da confermare con analisi più puntuali e approfondite.
1) E’ generalmente riscontrabile una certa discontinuità qualitativa: in numerosi brani risulta evidente la fretta (un fatto spiegabilissimo, data l’incredibile quantità di impegni a cui Galuppi, specialmente in alcuni periodi, doveva far fronte); in altri, al contrario, si manifesta una articolazione complessa, risultato di una approfondita ricerca tecnica e strutturale.
2) E’ sempre presente, in ogni caso, un grande mestiere e la felice naturalezza dello spirito galuppiano: sono così costantemente presenti la solidità della struttura, la “buona condotta” delle parti, l’efficacia funzionale, la scorrevolezza dell’invenzione, la disinvoltura e la chiarezza dei movimenti contrappuntistici e armonici.
3) Si può parlare complessivamente della configurazione di un vero e proprio stile liturgico caratterizzato dalla semplificazione della scrittura e dei rapporti dinamici (comunque sempre direttamente connessi con i suggerimenti ‘espressivi’ del testo), dall’uso relativamente frequente e intenso di procedimenti contrappuntistici (sempre senza esibizioni intellettualistiche e sempre come mezzo di aricchimento ‘espressivo’ e funzionale), dalla presenza di una declamazione prevalentemente sillabica e dalla tendenza a rendere impersonale e asettica l’articolazione melodica, con la prospettiva di ottenere un risultato ‘ambientale’ sostanzialmente diverso da quello dei lavori teatrali e, in parte, degli Oratori (anche in questo caso, comunque, è presente la ricerca di una precisa caratterizzazione degli interventi in relazione al carattere del testo e alla destinazione delle composizioni).
Se si tiene presente che alla ‘riforma’ dei contenuti stilistici Galuppi volle accompagnare quella degli aspetti esecutivi (sotto la sua direzione il coro ha un organico stabile di 24 elementi e l’orchestra è composta da 2 flauti, 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, 6 violini primi, 6 violini secondi, 6 viole, 4 violoncelli e 5 contrabbassi, con la possibilità di aggiungere clarinetti, fagotti e timpani e con la cura costante di inserire sia nel coro che nell’orchestra i migliori esecutori allora disponibili), gli si può senza incertezza alcuna attribuire un ulteriore importante merito, fino ad ora non sufficientemente sottolineato: quello di aver riportato la composizione e l’esecuzione di musiche liturgiche e religiose a una nuova dignità stilistica e professionale, riconquistando l’eloquente semplicità e la luminosa severità delle origini, a conclusione di un lungo e complesso ciclo durato più di due secoli.
La composizione dei 27 Oratori abbraccia un periodo che va dal 1737 (‘S. Maurizio e compagni martiri’) al 1776 (‘Moyses de Sinai revertens’): comprende, quindi, tutto il periodo centrale dell’attività produttiva del Buranello e sarebbe importante e significativo poter verificare l’evoluzione degli esiti stilistici all’interno di questo particolare settore, anche in rapporto alle parallele produzioni teatrali.
L’Adamo, su testo del P. Giovanni Granelli, è il sesto dei suoi Oratori. La prima esecuzione ebbe luogo a Roma, presso i RR.PP. della Congregazione della Chiesa Nuova, la domenica 19 febbraio 1747. Un anonimo cronista della Congregazione scriveva in quell’occasione (”Diario ordinario Num 4617. In data delli 25 Febraro 1747): “Dai PP. Della Congregazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri in Chiesa-nuova si tenne la sera (di domenica, prima di quaresima) in quell’Oratorio il divoto trattenimento di una nuova Composizione intitolata L’Adamo, posta in musica dal Sig. Baldassarre Galuppi, detto Buranello, cantata da quattro scelte voci, accompagnate da ottimi stromenti…il tutto con grande applauso della nobilissima udienza…; ed il concorso delle altre civili persone fu sì numeroso, che non essendo il luogo bastante più della terza parte di esse non potè avervi l’ingresso”.
Di questo Oratorio ho consultato due copie manoscritte esistenti presso la Biblioteca Marciana e quella, su cui ho basato la revisione, presso la Nazionale di Torino. Nelle due copie di Venezia quattro Arie (‘Sente quell’alma oppressa’, ‘Quell’affanno e quel dolore’, ‘No che vano e ingiusto affetto’, ‘Toglierò le sponde al mare’) hanno, rispetto alla copia di Torino, musiche diverse; il Duetto ha anche il testo diverso (‘E’ giusto Dio quel Padre’) e due Arie sono in altre tonalità (‘Amare lacrime’ è in Do Minore, ‘Con la mano onnipossente’ è in Re Maggiore); in una delle due copie veneziane manca la Sinfonia, mentre nell’altra il primo Recitativo è preceduto da una Sinfonia in tre Movimenti.
I personaggi dell’Oratorio sono quattro: Adamo (tenore), Eva (soprano), Angelo di Giustizia (soprano), Angelo di Misericordia (soprano). Introdotto da una breve “Sinfonia” in un solo Movimento, si articola in dodici Arie (tutte con il Da capo), tre per ciascuno dei solisti, due Duetti Eva-Adamo, un Duetto degli Angeli e un Quartetto finale: complessivamente sedici brani, oltre l’Ouverture, distribuiti con molta simmetria nelle due Parti e sempre preceduti da Recitativi secchi (l’unico breve Recitativo Obbligato è quello che precede l’Aria di Eva ‘Se al ciel miro’, nella seconda Parte).
Tutti i brani sono molto caratterizzati dal punto di vista del tipo di vocalità, della presenza strumentale, dell’articolazione ritmica, della individualizzazione tematica. Di conseguenza tutti gli interventi sono molto differenziati e, nell’insieme, costituiscono un organismo assai articolato e vario: la sostanziale tendenza del Buranello in questo lavoro è stata quella di definire e di esaltare musicalmente personalità e sentimenti, fissandone le caratteristiche dinamiche essenziali con forte incisività e con una intensa pregnanza drammatica.
Mi sembra di poter riferire all’Adamo quello che il Burney scrive a proposito di Salmi latini ascoltati a Venezia: “di dieci o dodici motivi non ve n’era uno solo che sembrasse insignificante. Ve n’erano parecchi ammirevoli…e tutto era pieno di passaggi nuovi, di fine gusto, di bella armonia e di sentimento. Gli accompagnamenti, sopra tutto, sono sempre ingegnosi e quantunque pieni, son sempre disinvolti e privi di quella specie di confusione che sperde e copre la voce…”
A parte qualche inevitabile reminiscenza soprattutto haendeliana, le idee di questo Oratorio sono in gran parte proiettate in avanti, talvolta con risultati clamorosamente anticipatori: non va dimenticato che all’epoca della sua composizione Cimarosa e Mozart non erano ancora nati, Paisiello aveva sette anni e Haydn soltanto quindici. “Molti passi di Galuppi”, scrive il Burney, “vennero certamente resi comuni….ma allora eran nuovi”.
Franco Piva